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Perchè è diminuita la criminalità negli Stati Uniti
Di Marzio Barbagli
“Una societa’ basata sulla responsabilita’
- disse Bill Clinton nel suo discorso sullo stato dell’unione deel 1998
parlando di uno dei problemi che gli stavano piu’ a cuore – deve
offrire strade sicure, scuole sicure, vicinati sicuri. Abbiamo perseguito una
strategia che prevedeva un maggior numero di poliziotti, pene piu’ severe, una
prevenzone piu’ intelligente, combattendo la criminalita’ in collaborazione
con le autorita’ locali ed i gruppi di cittadini. Stasera posso dirvi che sta
funzionando. I reati violenti sono diminuiti, le rapine sono diminuite, le
aggressioni sono diminuite, I furti in appartamento sono diminuiti per cinque
anni di seguito”
Chi ha ascoltato allora queste parole e chi le legge ora, puo’
avewre avuto ed avere dubbi sul
ruolo effettivamente svolto dalla strategia ricordata da Clinton. Ma un fatto
e’ certo negli Stati Uniti vi
e’ stata una imprevista ed impensabile caduta nel numero dei reati.
Cosi’ comincia il suo libro Marzio Barbagli, Perche’ e’
diminuita la criminalita’ negli Stati uniti, editore Il Mulino 2000
E seguendo descrive Quattro delle ragioni di questo declino -
secondo gli studi di eminenti criminologi americani
- : L’economia ed il mercato del lavoro; la composizone per eta’
della popolazione; la politica penale e il tasso di incarcerazione; l’azione
della polizia.
1)
L’economia, il mercato del lavoro e quello della droga.
Della complessa relazone fra disoccupazione e criminalita’
sono state fornite diverse sopiegazioni. Ma qui’ e’ sufficiente
ricordare le due piu’ importanti. Per la prima, se le persone occupate
commettono meno spesso reati di quelle disoccupate e’ perche’ il lavoro e’
uno dei vincoli piu’ importanti che lega un individuop alla societa’ (ed in
quanto tale lo frena dal violare le norme) sia direttamente (perche’
un’occupazione comporta rapporti sociali copn un gran numero di persone:
colleghi, superiori, clienti, formitori) sia indirettamente (perche’ permette
di formarsi una famiglia relativamente stabile, altro importantissimo vincolo
sociale) Per la seconda, perche’ un individuo sceglie fra le opporrtunita’
di lavoro legali e quelle illegali e quanto piu’ elevato e il tasso di
disoccupazione e basse le retribuzioni che ricava dale prime tanto piu’
probabile e’ che si dedichi alle seconde.
Particolarmente promettente sembra questa seconda
impostazione per spiegare perche’ negli Stati Uniti I reati violenti sono
aumentati nelklka seconda meta’ degli anni ’80 e diminuiti negli anni ’90.
Durante gli anni ’80, il salario reale per I giovani con un basso livello di
qualificazione professionale subi’ una flessione. Iniziata nel decennio
precedemnte, questa flessione non avrebbe prodotto grandi effetti se non vi
fosse stata un’importante innovazione nel mendo delle attivita’ illegali.
Nel; 1984, nelle grandi citta’ degl;I Stati Uniti comparve per la prima vollta
il crack. Questo produsse un allargamentop del mercato della droga, rese piu’
redditizie le attivita’ di distribuzione e di vendita delle sostanze
stupefacenti e spinse un numero crescente di giovani (sopratutto neri e con un
basso livello di qualificazone professionale) a dedicarsi a queste attivita’.
Ma l’espansione di questo mercato provoco’ anche un aumento della violenza,
per risolvere le dispute con i clienti, i concorrenti, i soci in affare. Dal
1993, I salari reali dei giovani ripresero a crescere. Ma questo da solo non
sarebbe bastato a far rientrare nel mercato del lavoro legale un numero
crescente di persone ed a produrre la caduta dei reati violenti che vi e’
stata negli anni ’90 ( anche perche’ dal 1993 al ’97 questi salari sono
cresciuti solo del 4%). Decisivo fu invece il fatto che la violenza nel mercato
della droga raggiunse un livello cosi’ alto all’inizio degli anni ’90 da
rendere sempre meno redditizie le attivita’ illecite.
“Rimanendo immutate tutte
l;e alter circostanze – ha scritto nel 1989 Napoleone Colajanni – una
popolazione commettera’ tanto piu’ delitti quanto piu’ alto e’ in essa
il numero delle persone dai 20 ai 30 anni” (Colajanni [1989]). Quasi
completamente ignorata nel nostro paese, questa ipotesi e’ stata ripresa piu’
volte dagli studiosi inglesi e amaricani. L’idea su cuio si basa e’ semplice.
Poiche’ una parte considerevole di reati viene commessa da giovani (dai 15 ai
24 anni), le variazioni della quota di giovani sulla popolazione provocano,
“rimanendo immutate tutte le alter circostanze”, mutamenti nel numero dei
reati.
Negli
anni ’60, quando il tasso di furti, di rapine e di omicidi inizio’ ad
aumentare, molti studiosi americani ricondussero questo preoccupante cambiamento
al fatto che la baby boom generation stava raggiungendo l’eta’ critica e il
numero di giovani stava aumentando. Varie ricerche mostratoi che almeno in parte
questo era vero. Anche la diminuizione del numero di alcuni delitti violenti
della prima meta’ degli anni ’80 e’ stata spiegata con la flessione della
quota delle persone dai 14 ai 24 anni verificatasi in quello stesso periodo. Ma
dopo di allora – nella seconda meta’ degli anni ’80 – queste due
variabili hanno iniziatop a m,uoversi in direzione opposta, perche’ la quota
dei giovani ha continuatio a decrescere, mentre il numero dei reati ha ripreso a
crescere. Il crollo della criminalita’ degl;I anni ’90 e’ stato ricondotto
all’inizio, da alcuni studiosi, alla riduzione del peso dei giovani. I dati
disponibili mostrano tuttavia che il contributo di questo fattore e’ stato
assai modesto, perche’ la diminuizione della popolazione giovanile e’
avvenuta soprattutto negli annio ’80, mentre ha subito un rallentamento nel
decennio successivo.
In
entrambi questi paesi, il rischio di incarcerazione per gli autori dei reati di
strada e’ diminuito per molti anni. In Gran Bratagna, esso ha subito una
flessione dell’80% dal 1954 all’inizio degli anni ’90; negli Stati Uniti
e’ calato invece del 64%, ma in un periodo assai piu’ breve
(dal 1961 al 1974). In entrambi I paesi, questo e’ accaduto non perche’
le carceri fossero sovraffollate e lo spazio alk loro internoi insufficiente, ma
piuttosto perche’ all’interno di una ristretta elite intellettuale (di
docenti universitari, di funzionari e di magistrati) si e’ fatta strada
l’idsea che vi fossero modi migliori per combattere la criminalita’ che
mettere I colpevoli dietro le sbarre. La cosa che piu’ importa, comunque, e’
che negli stessi anniin cui diminuiva il rischio di incarcerazione aumentava il
numero dei reati. Negli Stati Uniti, tuttavia, all’inizio degli anni ’80 vi
e’ stata una nuova inversione di tendenza. Le probabilita’ di passare
qualche tempo dietro le sbarre sono di nuovo cresciute ed il tasso di
criminalita’ e’ diminuito.
Tutto
questoi dimostra, secondo Charles Murray, che la prigione puo’ servire a
ridurre il numero dei reati, anche se certo non e’ una panacea. A coloro che
ripetonoi che la risposta non e’ l’incarcerazione – conclude questo
studioso – e’ necessario chiedere; “ma allora, quale e’ precisamente la
domanda?” Se le domande sono “come possiamo educare I giovani a rispettare
le regole della societa’?” o “come dare un lavoro a tutti?” allora il
carcere non e’ la risposta. Ma se le domande sono: “come possiamo trattenere
con la paura la gente dal commettere I reati?” o “come possiamo impedire che
criminali noti e condannati uccidano, stuprino o rubino?” allora il carcere
e’ una delle risposte piu’ importanti.
I dati
presentati da Murray sono giusti ed incontestabili.
E’ vero
che negli Stati Uniti il tasso di incarcerazone ha subito una flessione nel
corso degli anni ’60. Ed e’ altrettanto vero che, dalla seconda meta’
degli anni ’70, esso e’ aumentato con una rapidita’ senza precedenti. Dal
1978 al 1999, il numero totale dei detenuti nelle prigioni di stato, federali e
locali (jails) e’ quintiplicato, passando da 425 mila a oltre due milioni.
E’ una popolazione enorme, delle stesse dimensioni di quella che risiede in
una grande citta’ come Houston. A causa di questo cambiamento. Gli Stati Uniti
habnno oggi una tasso di incarecerazione straordinariamente elevato, inferiore
solo a quello della Russia, ma superiore a quello di tutti gli altri paesi. Si
pensi che l’Inghilterra, la Scozia e la Spagna hanno un tasos di
incarcerazione circa sei volter piu’ basso degli Stati Uniti, l’Austria, il
Belgio e la Germania e l’Italia piu’ di sette volte.
Ma che
relazione vi e’ fra tasso di incarcerazione e tasso di criminalita’? Murray
sostiene che l’andamento del secondo e’ in gran parte riconducibile al
primo. Ma possiamo rovesciare il rapporto fra queste due variabili? Possiamo
ricondurre il forte aumento del tasso di incarcerazione avvenuto negli Stati
Uniti nell’ultimo quarto di secolo e le differenze esistenti fra questo e
tutti gli altri paesi a variazioni nel tasso di criminalita? Sicuramente no.
Come abbiamo visto, almeno nel corso degli asnni’90, la crescita della
popolazone carceraria si e’ verificata proprio mentre decresceva il numero dei
delitti. D’altra parte, gli Stati Uniti superano gli altri paesi occidentali
solo per il tasso di omicidi, ma non p[er i reati contro il patrimonio. In
realta’ le variazioni nel tasso di incarcerazione dipendono da molti fattori.
Poosono essere ad esempio dovute a mutamenti nell’efficienza delle forze
dell’ordine. A parita’ di altre condizioni, se aumenta la quota degli autori
dei reati che vengono scoperti, fermati ed arrestati dalla polizia, cresce anche
il numero dei carcerati. Tuttavia, stando ai risultati delle ricerche finora
condotte, non e’ questo che si e’ verificato nell’ultimo ventennio negli
Stati Uniti nell’ultimo quarto di secolo e le difgferenze esistenti fra questo
e tutti gli altri paesi. Si e’ spesso sostenuto che gli Stati Uniti hanno un
sistema penale piu’ severo di tutti gli altri paesi occidentali. Le popche
ricerche comparate fin qui condotte hanno mostrato che, alla meta’ degli anni
’80 le condanne inflitte per i diversi reati erano piu’ lunghe negli Stati
Uniti. Prendendo tuttavia in esame la durata della pena effettivamente scontata
in carcere risulta che le differenze fra gli Stati Uniti e gli altri paesi si
riducono considerevolmente. Nerl caso dell’omicidio e della rapina, la durata
della pena effettivamente scontata in carcere era in Canada’ maggiorer che
negli Stati Uniti. Nel caso dei furti in appartamento e dei furti in generale il
sistema penale americano era piu’ severo di quello dell’Inghilterra e del
Canada.
Anche se
non disponiamo di dati comparativi recenti possiamo pensare che le differenze
fra gli Stati Uniti e gli altri paesi occidentasli siano aumentate nell’ultimo
decennio. Quello che comunque e’ certo e’ che nel corso degli anni’90,
negli Stati Uniti, e’ stata adottata una politica penale sempre piu’ dura.
In tutti gli Stati sono state approvate leggi che prevedono, per i reati
vioplenti e per quelli riguardanti la droga, una pena minima obbligatoria,
riducendo la discrezionalita’ dei giudici. Inoltre, in California ed in molti
altri stati sono state votate leggi (definite spesso con lo slogan, rip[reso dal
baseball, ‘Three strikes and you are out’ che prevedono pene particolarmente
severe per i recidivi, per coloro che vengono condannati tre voplte di seguito.
Questa politica penale piu’ severa ha prodotto un aumento del numero dei
carcerati per droga e un allungamento della durata delle pene scontate in
prigione. Non e’ questa la sede per analizzare i motivi di tale mutamento.
Vale la pena pero’ di osservare che negli Stati Uniti vi e’ una quota molto
piu’ alta che negli altri paesi occidentali di persone favorevoli a pene
severe per chi commette reati.
Che dire
allora dell’ipotesi di Murray? Possiamo ricondurre l’andamento del tasso di
criminalita’ esclusivamente (o principalmente) a quello del tasso di
incarcerazione? Sicuramente no. Molti studiosi hanno giustamente rilevato che
l’ipotesi di Murray parte da una concezione semplicistica della struttura
sociale, secondo la quale i tassi di alcuni eventi (matrimoni, divorzzi
ocriminalita’) potrebbero essere facilmente collegati ad eventi che si
verificano in un’altra parte della struttura. In rtealta’, quella fra tasso
di criminalita’ e tasso di incarcerazione e’ una relazione assai complessa,
che non puo’ essere certo analizzata limitandosi (come fa Murray) amettere a
confronto due serie storiche di dati.
Lo si
vede bene estendendo ad altri paesi europei l’analisi di quanto e avvenuto.
Jock Young ha ad esempio osservato che in Danimarca, nel periodo 1987-95, il
tasso di criminalita’ e’ rimasto molto basso, nonostasnte che il tasso di
incarcerazione non sia aumentato. Ancora piu’ interessante e’ il caso
dell’Olanda in cui nonostante che il rischio di incarcerazione sia cresciuto
–nello stesso periodo- dell’87%, il tasso di criminalita’ ha continuato a
salire.
Ma se
l’ipotesi di Murray non corrisponde al vero, altrettanto sbagliata – ha
osservato Young – e’ l’idea ‘liberal’ che fra il rischio di finire
dietro le sbarre e la frequenza con cui vengono commessi i reati non vi sia
alcuna relazione. Ed infatti molti studiosi csono concordi nel ritenere che
negli Stati Uniti l’aumento del tasso di incarcerazione abbia contribuito alla
diminuizione della criminalita’ negli anni ’90, pur non essendo stato ne;’
l’unico ne’ il piu’ importante fattore di questa diminuizione.
Mandando
in prigione un numero piu’ alto di autori di reato, si puo’ ridurre la
criminalita’ in due diversi modi. Con la deterrenza perrche’ l’esperienza
del carcere puo’ portare coloro che la fanno a non violare di nuovo le norme
una volta tornati in liberta’ (deterrenza speciale) o perche’ la paura di
finire in galera puo’ convincere gli altri a non correre questo rischio (deterrenza
generale). Con la neutralizzazione e’ sp[ecifica quando e’ rivolta a coloro
che compiono molti delitti, come nel caso delle leggi ‘three strikes and you
are out’ che prevedono pene particolarmente severe per i recidivi.
Negli
Stati Uniti sono state condotte numerose ricerche per stimare quanta parte della
diminuizione del numero dei reati sia dovuta all’aumento del tasso di
incarcerazione. Esse hanno mostrato che vi sono importanti limiti all’uso
della neutralizzazone. In primo luopgo, gli effetti di questa strategia sono
ridotti quanto piu’ i condannati sono vicini alla fine della loro ‘carriera
criminale’. In altre parole, dal punto di vista della neutralizzazione, e’
inutile far scontare in prigione una pena di dieci anni a condannati che, dopo
tre anni, avrebbero smesso di commettere reati. In secondo luogo, gli effetti
della neutralizzazione diminuiscono al crescere della popolazione carceraria.
Anche negli Stati Uniti, infatti, solo una piccola parte di coloro che rubano,
rapinano o stuprano finisce in carcere. Ma arestare fuori sono piu’
frequentemente i meno offensivi, coloro che commettono un numero minore di reati.
Per quanto insoddisfacenti, i risultati delle ricerche finora condotte ci dicono
che solo una piccola parte dei delinquenti e’ costituita da ‘professionisti’,
che compiono ogni anno un gran numero di delitti, mentre tutti gli altri sono
dei ‘dilettanti’, che ne compiono pochi. Compiendo molti piu’ rerati, i
professionisti hanno maggiori probabilita’ dei dilettanti di finire in carcere.
Se quersto e’ vero – come tutti i dati disponibili ci dicono – allora e’
chiaro che la strategia della neutralizzazone produrra’ maggiori effetti nella
prima fase dell’espansione della popolazione carceraria, quando a finire
dietro le sbarre sono piu’ spesso quelli che commettono molti reati (i
professionisti), mentre la sua efficacia diminuira’ nel periodo successivo
quando andranno piu’ frequentemente in prigione i delinquenti meno pericolosi
(i dilettanti).
In terzo
luogo, gli effetti della strategia della neutralizzazione sono modesti (o
addirittura di segno oppopsto a quello desiderato) nel caso dei reati di droga.
A differenza di quanto avviene per i furti e per le rapine, per gli stupri e gli
omicidi, quando si manda in carcere uno spacciatore di droga si puo essere certi
che il posto che questi lascia nell’organizzazone sara’ immediatamente
occupato da qualcun altro, fino ad allora in lista di attesa. Dunque, in questo
caso, il carcere puo’ avere qualche effetto con la deterrenza, ma non con la
neutralizzazione. Ma puo’ perfino accadere che, sotto quest’ultimo aspetto,
sia controproducente.
Pur con
tutti questi limiti, il carcere puo’ servire, con la deterrenza o la
neutralizzazione, a ridurre il numero dei reati. Stando alle ricerche finora
condotte, negli Stati Uniti, negli anni ’90, si sarebbe avuto una flessione
della criminalita’ anche l’aumento del tasso di incarcerazione. Ma questa
flessione sarebbe stata meno forte. Circa un quarto della diminuizione dei
delitti violenti e’ riconducibile alla straordinaria espansione della
popolazione carceraria.
Ma
l’aumento del tasso di incarcertazione ha gia avuto ed avra’ probabilmente
in futuro anche molte conseguenze negative. Esso e’ stato innanzitutto seguito
da una fortissima crescita dei costi, poiche’ per ogni detenuto ci vogliono in
media 20.000 dollari all’anno. Alcuni stati spendono ormai piu’ soldi per
incarcerare i giovani che per la loro istruzione nei college. Nell’ultimo
ventennio, in California, e’ stata creata una sola universita’, ma sono
state costruite venti nuove prigioni. Oggi questo Stato spende 6 mila dollari
all’anno per studente universitario e 34 mila per ogni carcerato.
Inoltre,
lo straodinario aumento del numero di detenuti ha gia’ avuto, ed avra’
probabilmente ancora nei prossimi anni, numerosi effetti collaterali negativi.
In primo luogo un numero crescente di persone avra’ difficolta’ ad entrare
nel mercato del lavoro e ad inserirsi nella societa’, p[erche’ per gli ex
detenuti e’ particolarmente difficile trovare una occupazione con un reddito
soddisfacente. In secondo luogo un numero crescente di famiglie risentira’ del
fatto che uno dei loro componenti e’ in carcere. Si calcola che circa la
meta’ degli uomini e due terzi delle donne in carcere abbiano almeno un figlio
minorenne. All’inizio degli anni ’90 vi erano circa un milione e mezzo di
ragazzi che avevano un genitore in carcere. Questo numero e’ oggi sicuramente
piu’ elevato. Che conseguenze ha questo sulla formazione dei giovani? Talvolta,
quando ad esempio il padre o la madre sono violenti con i figli, puo’ avere
addirittura effetti benefici. Ma in molkti altri casi ha effetti disastrosamente
negativi.
In terzo
luogo, la straordinaria espansione della popolazione carceraria puo’ far si
che cresca il numero di ex carcerati che, una volta tornati in liberta’,
riprendano a delinquere. Molti studiosi ritengono infatti che alcuni condannati
giovani ed inesperti quando escono dal carcere commettano piu’ reati di prima.
I sociologi hanno sempre
attribuito scarsa importanza all’azione delle forze di polizia per spiegare le
variazioni nello spazio e nel tempo del numero di reati commessi. In un
importante libro del 1990, Gottfredson a Hirchi hanno osservato che ‘non vi
sono prove che l’aumnento delle forze dell’ordine o il miglioramento del
loro equipaggiamento, che differenti strategie di pattugliamento o gradi diversi
di sorveglianza influiscano sui tassi di criminalita’. Quattro anni dopo, uno
dei massimi specialisti di questi problemi, David Bayley, ha scritto: ‘ La
polizia non previene la criminalita’. Questo e’ uno dei segreti meglio
conservati della vita moderna. Gl9 esperti lo sanno, la polizia lo sa, ma il
grande pubblico non lo sa. La polizia ha la presunzione di costituire la miglior
difesa della societa’ contro la criminalita’ e sostiene di continuo che se
le fossero assegnate maggiori risorse, in particolare di persone, essa sarebbe
in grado di proteggre la comunita’ dalla criminalita’. Ma questo e’ un
mito’. Ma recentemente, da piu’ parti e’ stata avanzata la tesi che la
caduta della criminalita’ degli anni ’90 sia in gran parte dovuta
all’azione della polizia. Questa idea e’ stata proposta con forza da
Willioam Bratton, capo del New York City Police Department dal 1994 al 1996, che
ha scritto nel 1997: ‘ New York, la citta che solo tre anni fa veniva definita
‘la capitale della criminalita nel mondo’ viene oggi considerata una delle
citta’ piu’ sicure. Come e’ avvenuto questo cambiamento improvviso? E’
colpa della polizia. I principali responsabili del forte declino della
criminalita’ in corso sono gli uomini e le donne del New York City Police
department’. Ripresa innumerevoli volte dai media, questa tesi e’ stata
sostenuta anche da alcuni studiosi. Ma quale e’ il suo valore? Cosa ci dicono
le ricerche in proposito?
Una delle
credenze piu’ diffuse nella popolazione americana e’ che il mezzo migliore
per ridurre la criminalita’ sia di aumentare il numero dei poliziotti. E’
tenendo conto di questo che Bill Clinton, nella campagna elettorale del 1992,
promise l’assunzione di 100.000 nuovi poliziotti e, una volta eletto, mantenne
fede al suo programma con il Violent Crime Control and Law Enforcement Act (del
13 settembre 1994). Ma le ricerche condotte negli ultimi venti anni non
forniscono molte prove a favore della validita’ di questa idea. Da un lato
esse ci dicono che una certa presenza delle forze dell’ordine e’
indispensabile, perche’ mostrano che quanto queste sono in sciopero il numero
dei reati aumenta vertiginosamente. Ma dall’altro lato queste ricerche
indicano che l’aumento delle forze dell’ordine non ha grandi effetti sul
tasso di criminalita’. Inoltre, dati recenti fanno pensare che la caduta del
numero dei reati negli anni ’90 non sia riconducibile al reclutamento di nuovi
poliziotti. Cosi’, ad esempio, dal 1990 al 1996, il numero di questi ha avuto
variazioni assai diverse nelle citta’ americane. A New York e’ aumentato del
18%, ma a San Diego solo dell’1%, mentre a Dallas ed a Seattle e’
addirittura diminuito.
Ma
l’aumento del numero di poliziotti e’ solo uno – e certo non il piu’
importante – dei mutamenti che sono avvenuti negli Stati Uniti in questo
campo. Gia’ a partire dalla meta’ degl;i anni ’80, in molte citta’
americane sono state introdotte varie riforme note con il nome di community
policing. Nell’organizzazione delle forze dell’ordine sono state introdotte
alcune innovazioni, rivolte a decentrare il processo decisionale ed a promuovere
buone relazioni fra la polizia e la popolazione dei quartieri in cui questa
opera.
Diverse
sono le strategie seguite dal sindaco di New York, Rudolph Giuliani. La prima
e’ la ‘tolleranza zero’, la seconda la concentrazione delle attivita’
delle forze dell’ordine negli ‘hot spots and hot times’, cioe’ nei punti
e nei momenti caldi delle attivita’ criminali, perseguita – come vedremo –
con il programma Compstat. La prima e’ stat al centro di violentissime
polemiche, diventando famosa in tutto il mondo. Il segretario di stato inglese.
Jack Straw, dopo che il partito laburista era andato al governo, ha affermato di
volere ‘la tolleranza zero della criminalita’ e del disordfine’ Bertie
Ahern, poco prima di diventare primo ministro irlandese, ha espresso la stessa
opinione. Il Presidente del Condiglio Giuliano Amato ha usato piu’ volte
questa espressione nel maggio e nel giugno 2000. Tuttavia, l’espressione
‘tolleranza zero’ non e’ stata introdotta dal sindaco di New York o dai
suoi collaboratori, ma dello Edinburgh District Council Women’s Commitee nella
campagna del 1992 contro la violenza contro le donne ed e’ stata ripresa molte
volte da molti programmi inglesi. E’ anzi interessante opsservare che molti
dei sostenitori del programma di Rudolph Giuliani non usano l’espressione
‘tolleranza zero’ che considerano infelice e fuorviante.
A
differenza della community policing, che mira alla riduzione della criminalita’
attraverso la collaborazione con la popolazione del quartiere, la strategia
della tolleranza zero punta a imporre l’ordine facendo rigidamente rispettare
le norme. Essa si basa sulla ‘Broken Windows Theory’ presentata per la prima
volta nel 1982 in un articolo di James Q.W. Wilson e George Kelling. Secondo
questa teoria, se in un edificio vi sono dei vetri infranti e nessuno li cambia,
dopo poco tutte le altre finestre faranno la stessa fine. Analogamente, se in un
quartiere aumenta il disordine sociale e si diffondono le incivilta’, a poco a
poco aumentera’ anche il numero dei reati gravi.
Per
disordine sociale si intebnde l’insieme di segni di incivilta;’ sociali o
fisici presenti in una zona. Incivilta’ socialki sono alcuni comportamenti di
‘persone non violente, ne’ necessariamente criminali, ma equivoche o senza
regole o imprevedibili’ (come le chiamano Wil;son e Kelly): tossicodipendenti,
prostitute, mendicanti, individui senza fissa dimora che dormono in luoghi
pubblici, ubriachi, giovabni sbandati che ciondolano di fronte ad un bar e
molestano i passanti conm gesti e parole oscene, gruppi di persone che provocano
rumori assordanti, che litigano e si picchiano. Segni di incivilta’ fisici
sono invece gli edifici abbandonati o in cattive condizioni, le scxritte sui
muri, i lampioni rotti, le cabine del telefono danneggiate, le strade sporche e
maleodoranti, gli enormi mucchi di spazzatura che attendono inutilmente che
qualcuni li porti via. Secondo la ‘Broken Windows Theory’, il ;
‘disordine’ e’ contagioso e si autopropaga. Con il passare del tempo, esso
puo’ anzi favorire l’aumentop della criminalita’, del numero dei furti e
delle rapine. Basta un aumento dei segniu di incivilta’ perche’ ‘un
quartiere stabile, di famiglie che hanno cura delle loro case, badano ai propri
figli e a quelli degli altri, e guardano di malocchio gli intrusi indesiderati,
possa trasformarsi in pochi anni, o addirittura in pochi mesi, in una giungla
inospitale e spaventosa’. Il senso di insicurezza provocato dai segni di
incivilta’puo’ infatti spingere i residenti a compoprtamenti di ritirata,
ridurre l’interazione e la cooperazione fra di loro, scoraggiarli dal
proteggere se stessi e la propria comunita’. In questo modo, i meccanismi di
controllo sociale si indeboliscono e ‘l’area e’ vulnerabile
all’invasione criminale’.
Dunque,
secondo questa teoria , quando non si interviene subito per cambiare i vetri
rotti, quando si ignora il disordine sociale, non solo la gente si sente piu’
insicura: finisce per esserlo realmente . Di conseguenza, uno dei modi piu’
efficaci per prevenire i reati gravi e’ ridurre il disordine sociale,
combattere contro le incivilta’, migliorare la qualita’ della vita.
Questa teoria ha avuto un’enorme influenza. L’articolo
del 1982 in cui viene presentata e’
stato il saggio criminologico piu’ letto non solo nelle aule universitarie, ma
anche negli ambienti delle forze dell’ordine, tanto da essere definito la
“Bibbia della pol;izia”. In esso molti poliziotti hanno trovato sintetizzate
alcuner delle conclusioni a cui sono giunti nel corso della loro attivita’
profdessionale. Per fare solo un esempio, Dennis Nowicki, un dirigente del
Chicago Poklice Department, ha detto dopop aver letto quresto articolo: “Lo
sapevo. Quando impediamo ai ragazzi di andare as chiedere l’elemosina nella
metropolitana, noi preveniamo le rapine. I ragazzi iniziano a chiedere
l’elemosina; poi scoprono che la gente nella metropolitana e’ impaurita ed
iniziano a cercare di intimidirla perche’ dia loro i soldi. Ma
dall’intimidazione al prendere i soldi il passo e’ breve”
La lotta contro le incivilta’ e’ iniziata molti anni
prima che diventasse sindaco della citta’ Rudolph Giuliani, nel 1984, con il
‘Clean Car program’. Nel corso degli anni ’70, gran parte dei treni della
metropolitana di New Yourk erano ricoperti di graffiti. Considerati da alcuni
una forma d’arte, questi furono visti sempre piu’ spesso da altri come atti
di vandalismo, di danneggiamento dei beni pubblici. Cosi’, sia Lindsay che
Koch, due sindaci che hanno preceduto Giuliani, tentarono varie strade per
ripulire i treni della metropolitana dai graffiti (mettendoli in zone
maggiormente protette, arrestando i giovani che li facevano) senza tuttavia
raggiungere alcun risultato. Grande successo ha avuto invece il ‘Clean Car
Program’, basato su un’idea molto semplice: “che una volta che un treno
fosse entrato nel programma e fosse stato pulito non sarebbe
stato piu’ usato se coperto di graffiti”.
In tale modo si e’ riusciti a scoraggiare gli autori di
queste opere, la cui motivazione di fondo era di mostrare a tutti il loro lavoro.
Per vincere fino in fondo questa battaglia ci vollero comunque cinque anni.
Ben diverse sono state le campagne lanciate negli anni ’90
dall’amministrazione Giuliani per restaurare l;’ordine e migliorare la
qualita’ della vita. La strategia di polizia n. 5 (chiamata “Reclaming the
Public Spaces of New Yorl”) utilizzando vecchie norme dimenticate e attraverso
un gran numero di “beer and piss patrols” (come vengono chiamati in gergo
dai poliziotti), ha preso di mira le “persone nonviolente, ne’
necessariamente criminali, ma equivoche o senza regole o imprevedibili”: senza
fissa dimora, mendicanti aggressivi, ubriachi molesti, prostitute, lavavetri
delle macchine, persone che orinano o che tirano bottiglie vuote nelle strade.
Cosi’ a New York, in soli tre anni, dal 1993 al 1996, il numero di arresti per
queste ed altre infrazioni lievi e’ aumentato vertiginosamente, passano da 133
mila a 205 mila.
Con questa campagna aggressiva contro il disordine sociakle e
le incivilta’, l’amministrazione Giuliani nopn cercava solo di ridurre il
senso di insicurezza della piopolazione di New York. Come hanno scritto i
sostenitori della “Broken Windows Theory”, “non tutti coloro che non
pagano il biglietto della metropolitana sono criminali, ne’ tutti i ladruncoli
sono delinquenti pericolosi. Ma alcuni lo sono o hanno infiormazioni su coloro
che lo sono. Quando la polizia ferma una persona che commette una piccola
infrazuione segnala a tutti i criminali che essa vigila ed al tempo stesso
ottiene legittimamente informazioni sui reati piu’ gravi”. William Bratton
ha d’altra parte osservato: “quando i poliziotti fermano qualcuno che sta
bevendo sulla strada o una gang di ragazzi che stanno bevendo all’angolo, li
perquisisce e trova un apistola o un coltello, prevengono cio’ che potrebbe
accadere due o tre ore dopo, quando la stessa persona, ubriaca, potrebbe tirar
fuori la pistola o il coltello”.
La seconda strategia, della concentrazione delle enetgie
delle forze dell’ordine negli “hot spots and hot times” e’ stata
perseguita con il p[rogramma Compstat (da Comprehensive Computer Statistics) che
assegnava maggiore autorita’ e
responsabilita’ ai commissari di zona (Precinct commanders) ed attribuiva
grande importanza nella prevenzione della criminalita’, alla raccolta ed
all’analisi dei dati statistici dei reati commessi. Prima di allora, Il New
York Police Department operava in un’area foprmata da sette distretti.
Ciascuno di questi si articolava in divisioni e ogni divisione in commissariati
di zona. Ciascuno dei 76 commissariati di zona della citta’ di New York
dispone da due a quattopcento poliziotti che operano in un’area formata in
media da 100 mila abitanti. William Bratton elimino’ le divisioni e diede
molta maggiore importanza ai commissari di zona. Per la prima volta, il compito
principale di questi divenne la riduzione del numero dei reati. Per raggiungerlo
furono loro attribuiti maggiori poteri e maggiori responsabilita’. E per
valutare se, in che misura, raggiungevano questo obiettivo, dovettero iniziare a
servirsi di datio statistici.
Due volte alla settimana, tutti i commissari di zona
partecipavano ad una riunioine presso il quartie generale del New York Police
Department. In queste riunioni venivano esaminate e discusse nei minimi
particolari le varie forme di criminalita’ della zona, le iniziartive prese
per combatterle, i successi e gli insuccessi ottenuti. Queste discussioni
avvenivano sempre sulla base dei dati statistici precisi ed aggiornati
all’ultima settimana. Duranta le riunioni venivano proiettate in grandi
schermi mappe a colori che illustravano efficacemente gli hot spots, i punti
caldi, dove si concentravano gli spacciatori di stupefacenti, i furti di auto e
negli appartamenti, le rapine, gli omicidi, gli spari, gli arresti. Come ha
scritto William Bratton ricordando Compstat, “era come andare a pesca con il
computer. Andavi dove correvano i pesciolini azzurri”.
Che effetto hanno avuto sul tasso di criminalita’ di New
York la tolleranza zero ed il programma Compstat? Rispondere a questo
interrogativo non e’
Certo
facile. Gli studiosi che ci hanno finora provato sono arrivati a conclusioni
assai diverse, talvolta perche’ diversa era la loro impostazione politica di
partenza. Vi sono tuttavia alcuni fatti certi che vale la pena ricordare. Il
primo e’ che la diminuizione degli omicidi e di altri reati violenti e’
iniziata a New York tre anni prima che arrivasse Bratton. Il secondo e’ che
questa diminuizione e’ avvenuta anche in altre citta’ (come Boston, San
Diego o Washington), nonostante che abbiano seguito strade diverse.
E’ chiaro anche che fra tolleranza zero ed iul programma
Compstat vi sono importanti differenze. La tolleranza zero ha suscitato proteste
in una parte della popolazione, che sono fortemente cresciute dopo l’uccisione
da parte della polizia di Amodou Diallo, un uomo nero colpito con 41 colpi
mentre si trovava nell’entrata della sua abitazione. Lo hanno rilevato molti
studiosi ed osservatori non sospetti. “ Quella in cui la criminalita’
diminuisce, ma la gente ha ancora paura della polizia non e’ una situazione
sana”, ha dichiarato Jeremy Travis, direttiore del National Institute of
Justice. E perfino l’ex capo della polizia William Bratton ha scritto: “ A
New York abbiamo perso un’occasione. Negli ultimi anni, la fenomenale
diminuizione dei reati gravi e del disordine avrebbe potuto ridurre le tensioni
razziali e migliorare le relazioni fra la polizia e le minoranze etniche. Ed
invece le tensioni sono cresciute”. Per non arrivare a conclusioni errate e’
bene tenere presente che negli Stati Uniti la percentualke di persone che da’
un giudizio positivo sul lavoro svolto dalla polizia e’ piu’ alta che in
ogni altro paese occidentale. Ma fra le citta’ americane vi sono differenze
rilevanti, I dati mostrano che, dal 1990 al 1998, a Boston il numero degli
omicidi e’ sceso ancor piu’ che a New York. Ma mentre a Boston i reclami nei
conmfronti della polizia sono diventati piu’ rari, a New York e’ successo
esattamente l’opposto.
La crescente ostilita’ di una parte della popolazione di
New York nei confronti della polizia ha portato alcuni studiosi a rilevare che
la toplleranza zero, anche se nel breve periodo ha prodotto una diminuizione del
numero dei reati, in quello medio-lungo potrebbe avere effetti esattamente
opposti. L’aumento del numero di arresti per semplici infrazioni puo’
infatti ridurre la legittimita’ della polizia agli occhi di coloro che
subiscono questa esperienza negativa ed a quelli dei loro familiari ed amici.
Potrebbe esservi di conseguenza una ripresa del numero dei delitti. Perche’
come alcune ricerche ci insegnano, la legittimita’ della p[olizia contribuisce
a prevenire la criminalita’.
Piu’ effficace e’ stato, secondo gli studiosi, il
programma Compstat ed in particolare la strategia di concentrare gli sforzi
della polizia negli hot spots, nei punti caldi usando sistematicamente dati
statistici e mappe elaborate dai computer per determinare con precisione dove e
quando intervenire. Sappiamo da varie ricerche che nelle citta’ americane (ma
naturalmente non solo in queste) una gran parte dei delitti viene compiuta in
poche zone. E’ in questi punti caldi che e’ piu’ probabile che agiscano i
delinquenti recidivi armati. Ed e’ dunque qui che, non solo a New York ma in
molte altre citta’ americane, si e’ deciso di concentrare le risorse della
polizia. Esperimenti rigorosi condotti da esperti hanno d’altra parte mostrato
che il modo migliore per prevenire la criminalita’ e’ quello di far ruotare
piu’ volte, duramnte il giorno, le forze di polizia attraverso i vari punti
caldi della citta’. Di solito, seguendo questa strada, il numero dei reati dei
punti caldi controllati diminuisce in modo significativo e solo una piccola
parte di questi si sposta in altre parti della citta’.