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Perchè è diminuita la criminalità negli Stati Uniti

Di Marzio Barbagli

 

“Una societa’ basata sulla responsabilita’  - disse Bill Clinton nel suo discorso sullo stato dell’unione deel 1998 parlando di uno dei problemi che gli stavano piu’ a cuore – deve offrire strade sicure, scuole sicure, vicinati sicuri. Abbiamo perseguito una strategia che prevedeva un maggior numero di poliziotti, pene piu’ severe, una prevenzone piu’ intelligente, combattendo la criminalita’ in collaborazione con le autorita’ locali ed i gruppi di cittadini. Stasera posso dirvi che sta funzionando. I reati violenti sono diminuiti, le rapine sono diminuite, le aggressioni sono diminuite, I furti in appartamento sono diminuiti per cinque anni di seguito”

 

Chi ha ascoltato allora queste parole e chi le legge ora, puo’ avewre avuto ed avere  dubbi sul ruolo effettivamente svolto dalla strategia ricordata da Clinton. Ma un fatto e’ certo  negli Stati Uniti vi e’ stata una imprevista ed impensabile caduta nel numero dei reati.

Cosi’ comincia il suo libro Marzio Barbagli, Perche’ e’ diminuita la criminalita’ negli Stati uniti, editore Il Mulino 2000

E seguendo descrive Quattro delle ragioni di questo declino - secondo gli studi di eminenti criminologi americani  - : L’economia ed il mercato del lavoro; la composizone per eta’ della popolazione; la politica penale e il tasso di incarcerazione; l’azione della polizia.

 

1)      L’economia, il mercato del lavoro e quello della droga.

  La criminalita’ viene comunemente attribuita al sottosviluppo, alla poverta’, alla disoccupazone. Non e’ dunque sorprendente che, per spiegare la caduta del numero dei reati si pensi innanzitutto alla forte espansione dell’economia degli Stati Uniti avvenuta negli anni ’90. Ma le cose non sono cosi’ semplici. L’andamento della criminalita’ non e’ sempre correlato negativamente con quello dell’economia o del mercato del lavoro. Sappiamo bene che, nei paesi occidentali vi e’ stato uno straordinario aumento dei furti, delle rapine, degli omicidi negli anni ’60 e ’70, cioe’ nel piu’ lungo periodo di prosperita’ che essi hannop conosciuto. D’altra parte, le indagini empiriche sul rapporto fra disoccupazione e criminalita’ sono giunte a risultati contrastanti. Molte delle ricerche trasversali (condotte mettendo a confronto aree diverse) hannop rilevato che si commettono piu’ spesso reati nelle zone in cui piu’ alto e’ il tassso di disoccupazione. Le indagini sulle variazioni nel tempo (condotte sulle serie storiche) sono arrivate spesso a questa stessa conclusione. Ma talvolta hanno riscontrato  che vi e’ una relazione negativa  fra il mutamento della disoccupazione  e quello della criminalita’ , cioe’ che quando la prima aumenta la seconda diminuisce e l’hannop attribuita ad una riduzione delle opportunita’ di delinquere (quando l’economia va male  e la disoccupazone cresce vi e’ meno da rubare  e piu’ persone sono costrette a stare a casa). Per questo anche le persone piu’ a sinistra sostengono oggi  che le “connessioni fra disoccupazione e violenza non sono ne’ semplici ne’ necessariamente dirette” (Currie [1998, 141] 

Della complessa relazone fra disoccupazione e criminalita’  sono state fornite diverse sopiegazioni. Ma qui’ e’ sufficiente ricordare le due piu’ importanti. Per la prima, se le persone occupate commettono meno spesso reati di quelle disoccupate e’ perche’ il lavoro e’ uno dei vincoli piu’ importanti che lega un individuop alla societa’ (ed in quanto tale lo frena dal violare le norme) sia direttamente (perche’ un’occupazione comporta rapporti sociali copn un gran numero di persone: colleghi, superiori, clienti, formitori) sia indirettamente (perche’ permette di formarsi una famiglia relativamente stabile, altro importantissimo vincolo sociale) Per la seconda, perche’ un individuo sceglie fra le opporrtunita’ di lavoro legali e quelle illegali e quanto piu’ elevato e il tasso di disoccupazione e basse le retribuzioni che ricava dale prime tanto piu’ probabile e’ che si dedichi alle seconde.

Particolarmente promettente sembra questa seconda impostazione per spiegare perche’ negli Stati Uniti I reati violenti sono aumentati nelklka seconda meta’ degli anni ’80 e diminuiti negli anni ’90. Durante gli anni ’80, il salario reale per I giovani con un basso livello di qualificazione professionale subi’ una flessione. Iniziata nel decennio precedemnte, questa flessione non avrebbe prodotto grandi effetti se non vi fosse stata un’importante innovazione nel mendo delle attivita’ illegali. Nel; 1984, nelle grandi citta’ degl;I Stati Uniti comparve per la prima vollta il crack. Questo produsse un allargamentop del mercato della droga, rese piu’ redditizie le attivita’ di distribuzione e di vendita delle sostanze stupefacenti e spinse un numero crescente di giovani (sopratutto neri e con un basso livello di qualificazone professionale) a dedicarsi a queste attivita’. Ma l’espansione di questo mercato provoco’ anche un aumento della violenza, per risolvere le dispute con i clienti, i concorrenti, i soci in affare. Dal 1993, I salari reali dei giovani ripresero a crescere. Ma questo da solo non sarebbe bastato a far rientrare nel mercato del lavoro legale un numero crescente di persone ed a produrre la caduta dei reati violenti che vi e’ stata negli anni ’90 ( anche perche’ dal 1993 al ’97 questi salari sono cresciuti solo del 4%). Decisivo fu invece il fatto che la violenza nel mercato della droga raggiunse un livello cosi’ alto all’inizio degli anni ’90 da rendere sempre meno redditizie le attivita’ illecite.

 

2)      La composizione per eta’ della popolazione

“Rimanendo immutate tutte l;e alter circostanze – ha scritto nel 1989 Napoleone Colajanni – una popolazione commettera’ tanto piu’ delitti quanto piu’ alto e’ in essa il numero delle persone dai 20 ai 30 anni” (Colajanni [1989]). Quasi completamente ignorata nel nostro paese, questa ipotesi e’ stata ripresa piu’ volte dagli studiosi inglesi e amaricani. L’idea su cuio si basa e’ semplice. Poiche’ una parte considerevole di reati viene commessa da giovani (dai 15 ai 24 anni), le variazioni della quota di giovani sulla popolazione provocano, “rimanendo immutate tutte le alter circostanze”, mutamenti nel numero dei reati.

Negli anni ’60, quando il tasso di furti, di rapine e di omicidi inizio’ ad aumentare, molti studiosi americani ricondussero questo preoccupante cambiamento al fatto che la baby boom generation stava raggiungendo l’eta’ critica e il numero di giovani stava aumentando. Varie ricerche mostratoi che almeno in parte questo era vero. Anche la diminuizione del numero di alcuni delitti violenti della prima meta’ degli anni ’80 e’ stata spiegata con la flessione della quota delle persone dai 14 ai 24 anni verificatasi in quello stesso periodo. Ma dopo di allora – nella seconda meta’ degli anni ’80 – queste due variabili hanno iniziatop a m,uoversi in direzione opposta, perche’ la quota dei giovani ha continuatio a decrescere, mentre il numero dei reati ha ripreso a crescere. Il crollo della criminalita’ degl;I anni ’90 e’ stato ricondotto all’inizio, da alcuni studiosi, alla riduzione del peso dei giovani. I dati disponibili mostrano tuttavia che il contributo di questo fattore e’ stato assai modesto, perche’ la diminuizione della popolazione giovanile e’ avvenuta soprattutto negli annio ’80, mentre ha subito un rallentamento nel decennio successivo.

 

3)     Gli effetti dell’incarcerazione

  Alcuni studiosi hanno ricondotto la caduta della criminalita’ degli anni ’90 al forte aumento del numero dei carcerati. In un saggio che ha avuto grande risonanza, Charles Murray ha sostenuto che vi e’ una relazione inversa fra il numero di reati compiuti in un paese dato, in un determinato periodo di tempo, ed il rischio di andare in carcere corso da coloro che li commettono. Detto in altri termini, quanto piu’ probabile e’ che l’autore di uno scippo, di una rapina o di un omicidio venga scoperto, arrestato, condannato e messo in carcere, tanto piu’ basso sara’ il numero di questi delitti. Come prove a favore della sua tesi, Murray ha riportato l’andamento di queste due variabili, nel corso dell’ultimo mezzo secolo, negli Stati Uniti ed in Gran Bretagna.

In entrambi questi paesi, il rischio di incarcerazione per gli autori dei reati di strada e’ diminuito per molti anni. In Gran Bratagna, esso ha subito una flessione dell’80% dal 1954 all’inizio degli anni ’90; negli Stati Uniti e’ calato invece del 64%, ma in un periodo assai piu’ breve  (dal 1961 al 1974). In entrambi I paesi, questo e’ accaduto non perche’ le carceri fossero sovraffollate e lo spazio alk loro internoi insufficiente, ma piuttosto perche’ all’interno di una ristretta elite intellettuale (di docenti universitari, di funzionari e di magistrati) si e’ fatta strada l’idsea che vi fossero modi migliori per combattere la criminalita’ che mettere I colpevoli dietro le sbarre. La cosa che piu’ importa, comunque, e’ che negli stessi anniin cui diminuiva il rischio di incarcerazione aumentava il numero dei reati. Negli Stati Uniti, tuttavia, all’inizio degli anni ’80 vi e’ stata una nuova inversione di tendenza. Le probabilita’ di passare qualche tempo dietro le sbarre sono di nuovo cresciute ed il tasso di criminalita’ e’ diminuito.

Tutto questoi dimostra, secondo Charles Murray, che la prigione puo’ servire a ridurre il numero dei reati, anche se certo non e’ una panacea. A coloro che ripetonoi che la risposta non e’ l’incarcerazione – conclude questo studioso – e’ necessario chiedere; “ma allora, quale e’ precisamente la domanda?” Se le domande sono “come possiamo educare I giovani a rispettare le regole della societa’?” o “come dare un lavoro a tutti?” allora il carcere non e’ la risposta. Ma se le domande sono: “come possiamo trattenere con la paura la gente dal commettere I reati?” o “come possiamo impedire che criminali noti e condannati uccidano, stuprino o rubino?” allora il carcere e’ una delle risposte piu’ importanti.

I dati presentati da Murray sono giusti ed incontestabili.

E’ vero che negli Stati Uniti il tasso di incarcerazone ha subito una flessione nel corso degli anni ’60. Ed e’ altrettanto vero che, dalla seconda meta’ degli anni ’70, esso e’ aumentato con una rapidita’ senza precedenti. Dal 1978 al 1999, il numero totale dei detenuti nelle prigioni di stato, federali e locali (jails) e’ quintiplicato, passando da 425 mila a oltre due milioni. E’ una popolazione enorme, delle stesse dimensioni di quella che risiede in una grande citta’ come Houston. A causa di questo cambiamento. Gli Stati Uniti habnno oggi una tasso di incarecerazione straordinariamente elevato, inferiore solo a quello della Russia, ma superiore a quello di tutti gli altri paesi. Si pensi che l’Inghilterra, la Scozia e la Spagna hanno un tasos di incarcerazione circa sei volter piu’ basso degli Stati Uniti, l’Austria, il Belgio e la Germania e l’Italia piu’ di sette volte.

Ma che relazione vi e’ fra tasso di incarcerazione e tasso di criminalita’? Murray sostiene che l’andamento del secondo e’ in gran parte riconducibile al primo. Ma possiamo rovesciare il rapporto fra queste due variabili? Possiamo ricondurre il forte aumento del tasso di incarcerazione avvenuto negli Stati Uniti nell’ultimo quarto di secolo e le differenze esistenti fra questo e tutti gli altri paesi a variazioni nel tasso di criminalita? Sicuramente no. Come abbiamo visto, almeno nel corso degli asnni’90, la crescita della popolazone carceraria si e’ verificata proprio mentre decresceva il numero dei delitti. D’altra parte, gli Stati Uniti superano gli altri paesi occidentali solo per il tasso di omicidi, ma non p[er i reati contro il patrimonio. In realta’ le variazioni nel tasso di incarcerazione dipendono da molti fattori. Poosono essere ad esempio dovute a mutamenti nell’efficienza delle forze dell’ordine. A parita’ di altre condizioni, se aumenta la quota degli autori dei reati che vengono scoperti, fermati ed arrestati dalla polizia, cresce anche il numero dei carcerati. Tuttavia, stando ai risultati delle ricerche finora condotte, non e’ questo che si e’ verificato nell’ultimo ventennio negli Stati Uniti nell’ultimo quarto di secolo e le difgferenze esistenti fra questo e tutti gli altri paesi. Si e’ spesso sostenuto che gli Stati Uniti hanno un sistema penale piu’ severo di tutti gli altri paesi occidentali. Le popche ricerche comparate fin qui condotte hanno mostrato che, alla meta’ degli anni ’80 le condanne inflitte per i diversi reati erano piu’ lunghe negli Stati Uniti. Prendendo tuttavia in esame la durata della pena effettivamente scontata in carcere risulta che le differenze fra gli Stati Uniti e gli altri paesi si riducono considerevolmente. Nerl caso dell’omicidio e della rapina, la durata della pena effettivamente scontata in carcere era in Canada’ maggiorer che negli Stati Uniti. Nel caso dei furti in appartamento e dei furti in generale il sistema penale americano era piu’ severo di quello dell’Inghilterra e del Canada.

Anche se non disponiamo di dati comparativi recenti possiamo pensare che le differenze fra gli Stati Uniti e gli altri paesi occidentasli siano aumentate nell’ultimo decennio. Quello che comunque e’ certo e’ che nel corso degli anni’90, negli Stati Uniti, e’ stata adottata una politica penale sempre piu’ dura. In tutti gli Stati sono state approvate leggi che prevedono, per i reati vioplenti e per quelli riguardanti la droga, una pena minima obbligatoria, riducendo la discrezionalita’ dei giudici. Inoltre, in California ed in molti altri stati sono state votate leggi (definite spesso con lo slogan, rip[reso dal baseball, ‘Three strikes and you are out’ che prevedono pene particolarmente severe per i recidivi, per coloro che vengono condannati tre voplte di seguito. Questa politica penale piu’ severa ha prodotto un aumento del numero dei carcerati per droga e un allungamento della durata delle pene scontate in prigione. Non e’ questa la sede per analizzare i motivi di tale mutamento. Vale la pena pero’ di osservare che negli Stati Uniti vi e’ una quota molto piu’ alta che negli altri paesi occidentali di persone favorevoli a pene severe per chi commette reati.

Che dire allora dell’ipotesi di Murray? Possiamo ricondurre l’andamento del tasso di criminalita’ esclusivamente (o principalmente) a quello del tasso di incarcerazione? Sicuramente no. Molti studiosi hanno giustamente rilevato che l’ipotesi di Murray parte da una concezione semplicistica della struttura sociale, secondo la quale i tassi di alcuni eventi (matrimoni, divorzzi ocriminalita’) potrebbero essere facilmente collegati ad eventi che si verificano in un’altra parte della struttura. In rtealta’, quella fra tasso di criminalita’ e tasso di incarcerazione e’ una relazione assai complessa, che non puo’ essere certo analizzata limitandosi (come fa Murray) amettere a confronto due serie storiche di dati.

Lo si vede bene estendendo ad altri paesi europei l’analisi di quanto e avvenuto. Jock Young ha ad esempio osservato che in Danimarca, nel periodo 1987-95, il tasso di criminalita’ e’ rimasto molto basso, nonostasnte che il tasso di incarcerazione non sia aumentato. Ancora piu’ interessante e’ il caso dell’Olanda in cui nonostante che il rischio di incarcerazione sia cresciuto –nello stesso periodo- dell’87%, il tasso di criminalita’ ha continuato a salire.

Ma se l’ipotesi di Murray non corrisponde al vero, altrettanto sbagliata – ha osservato Young – e’ l’idea ‘liberal’ che fra il rischio di finire dietro le sbarre e la frequenza con cui vengono commessi i reati non vi sia alcuna relazione. Ed infatti molti studiosi csono concordi nel ritenere che negli Stati Uniti l’aumento del tasso di incarcerazione abbia contribuito alla diminuizione della criminalita’ negli anni ’90, pur non essendo stato ne;’ l’unico ne’ il piu’ importante fattore di questa diminuizione.

Mandando in prigione un numero piu’ alto di autori di reato, si puo’ ridurre la criminalita’ in due diversi modi. Con la deterrenza perrche’ l’esperienza del carcere puo’ portare coloro che la fanno a non violare di nuovo le norme una volta tornati in liberta’ (deterrenza speciale) o perche’ la paura di finire in galera puo’ convincere gli altri a non correre questo rischio (deterrenza generale). Con la neutralizzazione e’ sp[ecifica quando e’ rivolta a coloro che compiono molti delitti, come nel caso delle leggi ‘three strikes and you are out’ che prevedono pene particolarmente severe per i recidivi.

Negli Stati Uniti sono state condotte numerose ricerche per stimare quanta parte della diminuizione del numero dei reati sia dovuta all’aumento del tasso di incarcerazione. Esse hanno mostrato che vi sono importanti limiti all’uso della neutralizzazone. In primo luopgo, gli effetti di questa strategia sono ridotti quanto piu’ i condannati sono vicini alla fine della loro ‘carriera criminale’. In altre parole, dal punto di vista della neutralizzazione, e’ inutile far scontare in prigione una pena di dieci anni a condannati che, dopo tre anni, avrebbero smesso di commettere reati. In secondo luogo, gli effetti della neutralizzazione diminuiscono al crescere della popolazione carceraria. Anche negli Stati Uniti, infatti, solo una piccola parte di coloro che rubano, rapinano o stuprano finisce in carcere. Ma arestare fuori sono piu’ frequentemente i meno offensivi, coloro che commettono un numero minore di reati. Per quanto insoddisfacenti, i risultati delle ricerche finora condotte ci dicono che solo una piccola parte dei delinquenti e’ costituita da ‘professionisti’, che compiono ogni anno un gran numero di delitti, mentre tutti gli altri sono dei ‘dilettanti’, che ne compiono pochi. Compiendo molti piu’ rerati, i professionisti hanno maggiori probabilita’ dei dilettanti di finire in carcere. Se quersto e’ vero – come tutti i dati disponibili ci dicono – allora e’ chiaro che la strategia della neutralizzazone produrra’ maggiori effetti nella prima fase dell’espansione della popolazione carceraria, quando a finire dietro le sbarre sono piu’ spesso quelli che commettono molti reati (i professionisti), mentre la sua efficacia diminuira’ nel periodo successivo quando andranno piu’ frequentemente in prigione i delinquenti meno pericolosi (i dilettanti).

In terzo luogo, gli effetti della strategia della neutralizzazione sono modesti (o addirittura di segno oppopsto a quello desiderato) nel caso dei reati di droga. A differenza di quanto avviene per i furti e per le rapine, per gli stupri e gli omicidi, quando si manda in carcere uno spacciatore di droga si puo essere certi che il posto che questi lascia nell’organizzazone sara’ immediatamente occupato da qualcun altro, fino ad allora in lista di attesa. Dunque, in questo caso, il carcere puo’ avere qualche effetto con la deterrenza, ma non con la neutralizzazione. Ma puo’ perfino accadere che, sotto quest’ultimo aspetto, sia controproducente.

Pur con tutti questi limiti, il carcere puo’ servire, con la deterrenza o la neutralizzazione, a ridurre il numero dei reati. Stando alle ricerche finora condotte, negli Stati Uniti, negli anni ’90, si sarebbe avuto una flessione della criminalita’ anche l’aumento del tasso di incarcerazione. Ma questa flessione sarebbe stata meno forte. Circa un quarto della diminuizione dei delitti violenti e’ riconducibile alla straordinaria espansione della popolazione carceraria.

Ma l’aumento del tasso di incarcertazione ha gia avuto ed avra’ probabilmente in futuro anche molte conseguenze negative. Esso e’ stato innanzitutto seguito da una fortissima crescita dei costi, poiche’ per ogni detenuto ci vogliono in media 20.000 dollari all’anno. Alcuni stati spendono ormai piu’ soldi per incarcerare i giovani che per la loro istruzione nei college. Nell’ultimo ventennio, in California, e’ stata creata una sola universita’, ma sono state costruite venti nuove prigioni. Oggi questo Stato spende 6 mila dollari all’anno per studente universitario e 34 mila per ogni carcerato.

Inoltre, lo straodinario aumento del numero di detenuti ha gia’ avuto, ed avra’ probabilmente ancora nei prossimi anni, numerosi effetti collaterali negativi. In primo luogo un numero crescente di persone avra’ difficolta’ ad entrare nel mercato del lavoro e ad inserirsi nella societa’, p[erche’ per gli ex detenuti e’ particolarmente difficile trovare una occupazione con un reddito soddisfacente. In secondo luogo un numero crescente di famiglie risentira’ del fatto che uno dei loro componenti e’ in carcere. Si calcola che circa la meta’ degli uomini e due terzi delle donne in carcere abbiano almeno un figlio minorenne. All’inizio degli anni ’90 vi erano circa un milione e mezzo di ragazzi che avevano un genitore in carcere. Questo numero e’ oggi sicuramente piu’ elevato. Che conseguenze ha questo sulla formazione dei giovani? Talvolta, quando ad esempio il padre o la madre sono violenti con i figli, puo’ avere addirittura effetti benefici. Ma in molkti altri casi ha effetti disastrosamente negativi.

In terzo luogo, la straordinaria espansione della popolazione carceraria puo’ far si che cresca il numero di ex carcerati che, una volta tornati in liberta’, riprendano a delinquere. Molti studiosi ritengono infatti che alcuni condannati giovani ed inesperti quando escono dal carcere commettano piu’ reati di prima.

 

4)       L’azione della polizia

I sociologi hanno sempre attribuito scarsa importanza all’azione delle forze di polizia per spiegare le variazioni nello spazio e nel tempo del numero di reati commessi. In un importante libro del 1990, Gottfredson a Hirchi hanno osservato che ‘non vi sono prove che l’aumnento delle forze dell’ordine o il miglioramento del loro equipaggiamento, che differenti strategie di pattugliamento o gradi diversi di sorveglianza influiscano sui tassi di criminalita’. Quattro anni dopo, uno dei massimi specialisti di questi problemi, David Bayley, ha scritto: ‘ La polizia non previene la criminalita’. Questo e’ uno dei segreti meglio conservati della vita moderna. Gl9 esperti lo sanno, la polizia lo sa, ma il grande pubblico non lo sa. La polizia ha la presunzione di costituire la miglior difesa della societa’ contro la criminalita’ e sostiene di continuo che se le fossero assegnate maggiori risorse, in particolare di persone, essa sarebbe in grado di proteggre la comunita’ dalla criminalita’. Ma questo e’ un mito’. Ma recentemente, da piu’ parti e’ stata avanzata la tesi che la caduta della criminalita’ degli anni ’90 sia in gran parte dovuta all’azione della polizia. Questa idea e’ stata proposta con forza da Willioam Bratton, capo del New York City Police Department dal 1994 al 1996, che ha scritto nel 1997: ‘ New York, la citta che solo tre anni fa veniva definita ‘la capitale della criminalita nel mondo’ viene oggi considerata una delle citta’ piu’ sicure. Come e’ avvenuto questo cambiamento improvviso? E’ colpa della polizia. I principali responsabili del forte declino della criminalita’ in corso sono gli uomini e le donne del New York City Police department’. Ripresa innumerevoli volte dai media, questa tesi e’ stata sostenuta anche da alcuni studiosi. Ma quale e’ il suo valore? Cosa ci dicono le ricerche in proposito?

Una delle credenze piu’ diffuse nella popolazione americana e’ che il mezzo migliore per ridurre la criminalita’ sia di aumentare il numero dei poliziotti. E’ tenendo conto di questo che Bill Clinton, nella campagna elettorale del 1992, promise l’assunzione di 100.000 nuovi poliziotti e, una volta eletto, mantenne fede al suo programma con il Violent Crime Control and Law Enforcement Act (del 13 settembre 1994). Ma le ricerche condotte negli ultimi venti anni non forniscono molte prove a favore della validita’ di questa idea. Da un lato esse ci dicono che una certa presenza delle forze dell’ordine e’ indispensabile, perche’ mostrano che quanto queste sono in sciopero il numero dei reati aumenta vertiginosamente. Ma dall’altro lato queste ricerche indicano che l’aumento delle forze dell’ordine non ha grandi effetti sul tasso di criminalita’. Inoltre, dati recenti fanno pensare che la caduta del numero dei reati negli anni ’90 non sia riconducibile al reclutamento di nuovi poliziotti. Cosi’, ad esempio, dal 1990 al 1996, il numero di questi ha avuto variazioni assai diverse nelle citta’ americane. A New York e’ aumentato del 18%, ma a San Diego solo dell’1%, mentre a Dallas ed a Seattle e’ addirittura diminuito.

Ma l’aumento del numero di poliziotti e’ solo uno – e certo non il piu’ importante – dei mutamenti che sono avvenuti negli Stati Uniti in questo campo. Gia’ a partire dalla meta’ degl;i anni ’80, in molte citta’ americane sono state introdotte varie riforme note con il nome di community policing. Nell’organizzazione delle forze dell’ordine sono state introdotte alcune innovazioni, rivolte a decentrare il processo decisionale ed a promuovere buone relazioni fra la polizia e la popolazione dei quartieri in cui questa opera.

Diverse sono le strategie seguite dal sindaco di New York, Rudolph Giuliani. La prima e’ la ‘tolleranza zero’, la seconda la concentrazione delle attivita’ delle forze dell’ordine negli ‘hot spots and hot times’, cioe’ nei punti e nei momenti caldi delle attivita’ criminali, perseguita – come vedremo – con il programma Compstat. La prima e’ stat al centro di violentissime polemiche, diventando famosa in tutto il mondo. Il segretario di stato inglese. Jack Straw, dopo che il partito laburista era andato al governo, ha affermato di volere ‘la tolleranza zero della criminalita’ e del disordfine’ Bertie Ahern, poco prima di diventare primo ministro irlandese, ha espresso la stessa opinione. Il Presidente del Condiglio Giuliano Amato ha usato piu’ volte questa espressione nel maggio e nel giugno 2000. Tuttavia, l’espressione ‘tolleranza zero’ non e’ stata introdotta dal sindaco di New York o dai suoi collaboratori, ma dello Edinburgh District Council Women’s Commitee nella campagna del 1992 contro la violenza contro le donne ed e’ stata ripresa molte volte da molti programmi inglesi. E’ anzi interessante opsservare che molti dei sostenitori del programma di Rudolph Giuliani non usano l’espressione ‘tolleranza zero’ che considerano infelice e fuorviante.

A differenza della community policing, che mira alla riduzione della criminalita’ attraverso la collaborazione con la popolazione del quartiere, la strategia della tolleranza zero punta a imporre l’ordine facendo rigidamente rispettare le norme. Essa si basa sulla ‘Broken Windows Theory’ presentata per la prima volta nel 1982 in un articolo di James Q.W. Wilson e George Kelling. Secondo questa teoria, se in un edificio vi sono dei vetri infranti e nessuno li cambia, dopo poco tutte le altre finestre faranno la stessa fine. Analogamente, se in un quartiere aumenta il disordine sociale e si diffondono le incivilta’, a poco a poco aumentera’ anche il numero dei reati gravi.

Per disordine sociale si intebnde l’insieme di segni di incivilta;’ sociali o fisici presenti in una zona. Incivilta’ socialki sono alcuni comportamenti di ‘persone non violente, ne’ necessariamente criminali, ma equivoche o senza regole o imprevedibili’ (come le chiamano Wil;son e Kelly): tossicodipendenti, prostitute, mendicanti, individui senza fissa dimora che dormono in luoghi pubblici, ubriachi, giovabni sbandati che ciondolano di fronte ad un bar e molestano i passanti conm gesti e parole oscene, gruppi di persone che provocano rumori assordanti, che litigano e si picchiano. Segni di incivilta’ fisici sono invece gli edifici abbandonati o in cattive condizioni, le scxritte sui muri, i lampioni rotti, le cabine del telefono danneggiate, le strade sporche e maleodoranti, gli enormi mucchi di spazzatura che attendono inutilmente che qualcuni li porti via. Secondo la ‘Broken Windows Theory’, il ; ‘disordine’ e’ contagioso e si autopropaga. Con il passare del tempo, esso puo’ anzi favorire l’aumentop della criminalita’, del numero dei furti e delle rapine. Basta un aumento dei segniu di incivilta’ perche’ ‘un quartiere stabile, di famiglie che hanno cura delle loro case, badano ai propri figli e a quelli degli altri, e guardano di malocchio gli intrusi indesiderati, possa trasformarsi in pochi anni, o addirittura in pochi mesi, in una giungla inospitale e spaventosa’. Il senso di insicurezza provocato dai segni di incivilta’puo’ infatti spingere i residenti a compoprtamenti di ritirata, ridurre l’interazione e la cooperazione fra di loro, scoraggiarli dal proteggere se stessi e la propria comunita’. In questo modo, i meccanismi di controllo sociale si indeboliscono e ‘l’area e’ vulnerabile all’invasione criminale’.

Dunque, secondo questa teoria , quando non si interviene subito per cambiare i vetri rotti, quando si ignora il disordine sociale, non solo la gente si sente piu’ insicura: finisce per esserlo realmente . Di conseguenza, uno dei modi piu’ efficaci per prevenire i reati gravi e’ ridurre il disordine sociale, combattere contro le incivilta’, migliorare la qualita’ della vita.

Questa teoria ha avuto un’enorme influenza. L’articolo del 1982 in cui viene presentata  e’ stato il saggio criminologico piu’ letto non solo nelle aule universitarie, ma anche negli ambienti delle forze dell’ordine, tanto da essere definito la “Bibbia della pol;izia”. In esso molti poliziotti hanno trovato sintetizzate alcuner delle conclusioni a cui sono giunti nel corso della loro attivita’ profdessionale. Per fare solo un esempio, Dennis Nowicki, un dirigente del Chicago Poklice Department, ha detto dopop aver letto quresto articolo: “Lo sapevo. Quando impediamo ai ragazzi di andare as chiedere l’elemosina nella metropolitana, noi preveniamo le rapine. I ragazzi iniziano a chiedere l’elemosina; poi scoprono che la gente nella metropolitana e’ impaurita ed iniziano a cercare di intimidirla perche’ dia loro i soldi. Ma dall’intimidazione al prendere i soldi il passo e’ breve”

La lotta contro le incivilta’ e’ iniziata molti anni prima che diventasse sindaco della citta’ Rudolph Giuliani, nel 1984, con il ‘Clean Car program’. Nel corso degli anni ’70, gran parte dei treni della metropolitana di New Yourk erano ricoperti di graffiti. Considerati da alcuni una forma d’arte, questi furono visti sempre piu’ spesso da altri come atti di vandalismo, di danneggiamento dei beni pubblici. Cosi’, sia Lindsay che Koch, due sindaci che hanno preceduto Giuliani, tentarono varie strade per ripulire i treni della metropolitana dai graffiti (mettendoli in zone maggiormente protette, arrestando i giovani che li facevano) senza tuttavia raggiungere alcun risultato. Grande successo ha avuto invece il ‘Clean Car Program’, basato su un’idea molto semplice: “che una volta che un treno fosse entrato nel programma e fosse stato pulito non sarebbe  stato piu’ usato se coperto di graffiti”.

In tale modo si e’ riusciti a scoraggiare gli autori di queste opere, la cui motivazione di fondo era di mostrare a tutti il loro lavoro. Per vincere fino in fondo questa battaglia ci vollero comunque cinque anni.

Ben diverse sono state le campagne lanciate negli anni ’90 dall’amministrazione Giuliani per restaurare l;’ordine e migliorare la qualita’ della vita. La strategia di polizia n. 5 (chiamata “Reclaming the Public Spaces of New Yorl”) utilizzando vecchie norme dimenticate e attraverso un gran numero di “beer and piss patrols” (come vengono chiamati in gergo dai poliziotti), ha preso di mira le “persone nonviolente, ne’ necessariamente criminali, ma equivoche o senza regole o imprevedibili”: senza fissa dimora, mendicanti aggressivi, ubriachi molesti, prostitute, lavavetri delle macchine, persone che orinano o che tirano bottiglie vuote nelle strade. Cosi’ a New York, in soli tre anni, dal 1993 al 1996, il numero di arresti per queste ed altre infrazioni lievi e’ aumentato vertiginosamente, passano da 133 mila a 205 mila.

Con questa campagna aggressiva contro il disordine sociakle e le incivilta’, l’amministrazione Giuliani nopn cercava solo di ridurre il senso di insicurezza della piopolazione di New York. Come hanno scritto i sostenitori della “Broken Windows Theory”, “non tutti coloro che non pagano il biglietto della metropolitana sono criminali, ne’ tutti i ladruncoli sono delinquenti pericolosi. Ma alcuni lo sono o hanno infiormazioni su coloro che lo sono. Quando la polizia ferma una persona che commette una piccola infrazuione segnala a tutti i criminali che essa vigila ed al tempo stesso ottiene legittimamente informazioni sui reati piu’ gravi”. William Bratton ha d’altra parte osservato: “quando i poliziotti fermano qualcuno che sta bevendo sulla strada o una gang di ragazzi che stanno bevendo all’angolo, li perquisisce e trova un apistola o un coltello, prevengono cio’ che potrebbe accadere due o tre ore dopo, quando la stessa persona, ubriaca, potrebbe tirar fuori la pistola o il coltello”.

La seconda strategia, della concentrazione delle enetgie delle forze dell’ordine negli “hot spots and hot times” e’ stata perseguita con il p[rogramma Compstat (da Comprehensive Computer Statistics) che assegnava maggiore autorita’  e responsabilita’ ai commissari di zona (Precinct commanders) ed attribuiva grande importanza nella prevenzione della criminalita’, alla raccolta ed all’analisi dei dati statistici dei reati commessi. Prima di allora, Il New York Police Department operava in un’area foprmata da sette distretti. Ciascuno di questi si articolava in divisioni e ogni divisione in commissariati di zona. Ciascuno dei 76 commissariati di zona della citta’ di New York dispone da due a quattopcento poliziotti che operano in un’area formata in media da 100 mila abitanti. William Bratton elimino’ le divisioni e diede molta maggiore importanza ai commissari di zona. Per la prima volta, il compito principale di questi divenne la riduzione del numero dei reati. Per raggiungerlo furono loro attribuiti maggiori poteri e maggiori responsabilita’. E per valutare se, in che misura, raggiungevano questo obiettivo, dovettero iniziare a servirsi di datio statistici.

Due volte alla settimana, tutti i commissari di zona partecipavano ad una riunioine presso il quartie generale del New York Police Department. In queste riunioni venivano esaminate e discusse nei minimi particolari le varie forme di criminalita’ della zona, le iniziartive prese per combatterle, i successi e gli insuccessi ottenuti. Queste discussioni avvenivano sempre sulla base dei dati statistici precisi ed aggiornati all’ultima settimana. Duranta le riunioni venivano proiettate in grandi schermi mappe a colori che illustravano efficacemente gli hot spots, i punti caldi, dove si concentravano gli spacciatori di stupefacenti, i furti di auto e negli appartamenti, le rapine, gli omicidi, gli spari, gli arresti. Come ha scritto William Bratton ricordando Compstat, “era come andare a pesca con il computer. Andavi dove correvano i pesciolini azzurri”.

Che effetto hanno avuto sul tasso di criminalita’ di New York la tolleranza zero ed il programma Compstat? Rispondere a questo interrogativo non e’

 Certo facile. Gli studiosi che ci hanno finora provato sono arrivati a conclusioni assai diverse, talvolta perche’ diversa era la loro impostazione politica di partenza. Vi sono tuttavia alcuni fatti certi che vale la pena ricordare. Il primo e’ che la diminuizione degli omicidi e di altri reati violenti e’ iniziata a New York tre anni prima che arrivasse Bratton. Il secondo e’ che questa diminuizione e’ avvenuta anche in altre citta’ (come Boston, San Diego o Washington), nonostante che abbiano seguito strade diverse.

E’ chiaro anche che fra tolleranza zero ed iul programma Compstat vi sono importanti differenze. La tolleranza zero ha suscitato proteste in una parte della popolazione, che sono fortemente cresciute dopo l’uccisione da parte della polizia di Amodou Diallo, un uomo nero colpito con 41 colpi mentre si trovava nell’entrata della sua abitazione. Lo hanno rilevato molti studiosi ed osservatori non sospetti. “ Quella in cui la criminalita’ diminuisce, ma la gente ha ancora paura della polizia non e’ una situazione sana”, ha dichiarato Jeremy Travis, direttiore del National Institute of Justice. E perfino l’ex capo della polizia William Bratton ha scritto: “ A New York abbiamo perso un’occasione. Negli ultimi anni, la fenomenale diminuizione dei reati gravi e del disordine avrebbe potuto ridurre le tensioni razziali e migliorare le relazioni fra la polizia e le minoranze etniche. Ed invece le tensioni sono cresciute”. Per non arrivare a conclusioni errate e’ bene tenere presente che negli Stati Uniti la percentualke di persone che da’ un giudizio positivo sul lavoro svolto dalla polizia e’ piu’ alta che in ogni altro paese occidentale. Ma fra le citta’ americane vi sono differenze rilevanti, I dati mostrano che, dal 1990 al 1998, a Boston il numero degli omicidi e’ sceso ancor piu’ che a New York. Ma mentre a Boston i reclami nei conmfronti della polizia sono diventati piu’ rari, a New York e’ successo esattamente l’opposto.

La crescente ostilita’ di una parte della popolazione di New York nei confronti della polizia ha portato alcuni studiosi a rilevare che la toplleranza zero, anche se nel breve periodo ha prodotto una diminuizione del numero dei reati, in quello medio-lungo potrebbe avere effetti esattamente opposti. L’aumento del numero di arresti per semplici infrazioni puo’ infatti ridurre la legittimita’ della polizia agli occhi di coloro che subiscono questa esperienza negativa ed a quelli dei loro familiari ed amici. Potrebbe esservi di conseguenza una ripresa del numero dei delitti. Perche’ come alcune ricerche ci insegnano, la legittimita’ della p[olizia contribuisce a prevenire la criminalita’.

Piu’ effficace e’ stato, secondo gli studiosi, il programma Compstat ed in particolare la strategia di concentrare gli sforzi della polizia negli hot spots, nei punti caldi usando sistematicamente dati statistici e mappe elaborate dai computer per determinare con precisione dove e quando intervenire. Sappiamo da varie ricerche che nelle citta’ americane (ma naturalmente non solo in queste) una gran parte dei delitti viene compiuta in poche zone. E’ in questi punti caldi che e’ piu’ probabile che agiscano i delinquenti recidivi armati. Ed e’ dunque qui che, non solo a New York ma in molte altre citta’ americane, si e’ deciso di concentrare le risorse della polizia. Esperimenti rigorosi condotti da esperti hanno d’altra parte mostrato che il modo migliore per prevenire la criminalita’ e’ quello di far ruotare piu’ volte, duramnte il giorno, le forze di polizia attraverso i vari punti caldi della citta’. Di solito, seguendo questa strada, il numero dei reati dei punti caldi controllati diminuisce in modo significativo e solo una piccola parte di questi si sposta in altre parti della citta’.