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Diritti dei detenuti e la Costituzione

41° Convegno SEAC – Roma 27-29 Novembre 2008

 

Tra il dire e il fare c’e di mezzo il mare (di chiacchiere) 

Tutto il Convegno del Seac svoltosi a  Roma dal 27 al 29 Novembre sul Tema “I diritti dei Detenuti e la Costituzione”, nelle sue molteplici relazioni, tenute da importanti relatori ( un po’ troppe a dire il vero) si è sviluppato intorno ad una semplice constatazione: c’è un abisso tra l’enunciazione dei diritti dei detenuti e, di fatto, il mondo reale dell’esecuzione della pena nel quale quei diritti affermati in linea di principio dovrebbero essere realizzati.

 “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” (comma 3 art. 27 della Costituzione Italiana), questa fondamentale enunciazione di principio viene ripresa e sancita dalla legge di Riforma del 1975, in cui il detenuto è collocato al centro della normativa che definisce i contenuti dell’ordinamento penitenziario: umanità, rispetto della dignità della persona, esclusione dalle discriminazioni, restrizioni limitate alle esigenze di disciplina e ordine, proiezione verso il reinserimento sociale e individualizzazione del trattamento. Secondo l’art. 4 dell’O.P. “i detenuti e gli internati esercitano personalmente i diritti loro derivanti dalla presente legge anche se si trovano in stato di interdizione legale” Si tratta quindi di dichiarazioni che si basano sul terzo comma dell’art.27 della Costituzione. Questi principi sono confermati altresì da  varie sentenze della Corte Costituzionale.

Secondo il magistrato di sorveglianza di Padova, il dott. Giovanni Maria Pavarin, ( Il dott. Pavarin non ha potuto essere presente al Convegno, ma ha fatto pervenire il suo intervento che è stato poi letto da una sua collaboratrice), la ragione di questo abisso è dovuta fondamentalmente a due fattori: “1) la grandezza delle risorse economiche che servirebbero; 2) il fatto che molti dei valori sottesi alle solenni affermazioni di principio consacrate nei testi di legge non sono in realtà condivise fino in fondo dalla società”

Quanto al primo punto è facile osservare come costituisca principio affermato anche in sede sopranazionale (v. Raccomandazione R [ 2006 ] 2 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulle Regole penitenziarie europee, adottata dal Consiglio dei Ministri l’11 gennaio 2006, parte I, n.4) che le condizioni detentive che violano i diritti umani del detenuto non possono essere giustificate dalla mancanza di risorse.

Per quanto riguarda il secondo problema il dott. Pavarin ha indicato come necessaria “un’opera capillare di convincimento, di diffusione, di esempi di buona pratica o di prassi virtuosa (best practice): e quì credo che il mondo del volontariato possa giocare un ruolo fondamentale”.

 

La risposta avvilita e rassegnata 

Di fronte alla relazione realistica della dottoressa Elisabetta Laganà che tracciava il quadro della situazione attuale drammatica in cui versano gli Istituti di pena Italiana, la risposta del Capo del DAP, Dott. Ionta è sembrata una capitolazione totale: “ Occorre accettare che il numero di presenze nell’ordine delle 60.000, 70.000 ( e oltre ) unità, negli Istituti di pena (che attualmente ne potrebbero contenere circa 43.000), è fisiologico.  

 

Il mistero della “porta girevole” 

Nel mondo dell’esecuzione penale in Italia esiste un “mistero”, tra gli altri, che lascia tutti “senza parole”:

170 mila persone in media ogni anno vengono arrestate, portate in carcere e poi rilasciate dopo 5-6 giorni perché l’udienza di convalida non ha confermato l’arresto o c’è stato il giudizio in direttissima con condanne sotto i due anni. Si tratta di reati minori per cui non è previsto il carcere.

Un sovraccarico, inutile, di lavoro per gli operatori del penale, primi fra tutti gli agenti di polizia penitenziaria e un dispendio di risorse che potrebbero essere impiegate in modo più fruttuoso. 

Non solo, nelle carceri Italiane ci sono 30.000 detenuti in attesa di giudizio, cioè persone di cui non è stata ancora accertata la colpevolezza. In altre parole c’è gente in prigione che potrebbe essere innocente e che invece si trova già a pagare una pena.

 

La difesa dei diritti dei detenuti, grande leva per creare più sicurezza 

Riguardo alla difesa dei diritti dei detenuti, è ancora il dott. Giovanni Maria Pavarin ad affermare:

“Parlare dei diritti dei detenuti, pensare ai diritti dei detenuti potrebbe oggi sembrare un fuor d’opera, un’attività contro-corrente, un’attività non gradita ai più, e di scarso interesse per i mass-media: eppure in tutti coloro che operano nel mondo del carcere e della pena credo non manchi la consapevolezza dell’importanza strategica di questo tema”.

“Infatti - ha continuato il magistrato - …la garanzia dei diritti previsti per i detenuti costituisce un fattore potente di rieducazione, e dunque di grande utilità pratica in termini di abbattimento della recidiva e – di conseguenza – di neutralizzazione della pericolosità sociale e di più efficace risposta alla domanda pressante di sicurezza che spesso proviene anche da coloro che in linea teorica non sempre dimostrano il dovuto rispetto della legge in quanto tale… E’ difficile accompagnare il detenuto lungo il cammino verso la legalità se il luogo di esecuzione della pena è esso stesso un luogo illegale.”

 

La dottrina della Chiesa sulla pena 

Il Portavoce della Sala Stampa Vaticana, Padre Federico Lombardi, nel suo intervento ha fatto un esxursus sugli interventi del Magistero riguardo alla realtà e alla funzione della pena: dal Compendio della Dottrina sociale della Chiesa al Magistero di Giovanni Paolo II, specialmente il Messaggio per il Giubileo del 2000 nelle Carceri, fino al recente intervento del Santo Padre Benedetto XVI nell’udienza privata concessa ai Cappellani di tutto il mondo, in occasione del Congresso Internazionale dell’ICCPPC svoltosi a Roma nell’ottobre del 2007. tra l’altro il padre Lombardo ha citato questi passi tratti dal Messaggio per il Giubileo delle carceri: “"Siamo ancora lontani dal momento in cui la nostra coscienza potrà essere certa di avere fatto tutto il possibile per prevenire la delinquenza e per reprimerla efficacemente così che non continui a nuocere e, nello stesso tempo, per offrire  a chi delinque la via del riscatto e di un nuovo inserimento positivo nella società. Se tutti coloro che, a vario titolo, sono coinvolti nel problema volessero approfittare dell'occasione offerta dal Giubileo per sviluppare questa riflessione, forse l'umanità intera potrebbe fare un grande passo in avanti verso una vita sociale più serena e pacifica."

E riguardo al senso che deve avere la pena: “…Così celebrare il Giubileo significa adoperarsi per creare occasioni di riscatto per ogni situazione personale e sociale, anche se apparentemente pregiudicata. Tutto ciò è ancora più evidente per la realtà carceraria: astenersi da azioni promozionali nei confronti del detenuto significherebbe ridurre la misura detentiva a mera ritorsione sociale, rendendola soltanto odiosa”.

Sempre riguardo alle condizioni che rendono la pena in-capace di riabilitare il Santo Padre afferma: “Anche nei casi in cui la legislazione è soddisfacente, molte sofferenze derivano ai detenuti da altri fattori concreti. Penso, in particolare, alle condizioni precarie dei luoghi di detenzione in cui i carcerati sono costretti a vivere, come pure alle vessazioni inflitte talvolta ai detenuti per discriminazioni dovute a motivi etnici, sociali, economici, sessuali, politici e religiosi. Talvolta il carcere diventa un luogo di violenza assimilabile a quegli ambienti dai quali i detenuti non di rado provengono. Ciò vanifica, com'è evidente, ogni intento educativo delle misure detentive. Altre difficoltà sono incontrate dai reclusi per poter mantenere regolari contatti con la famiglia e con i propri cari, e gravi carenze spesso si riscontrano nelle strutture che dovrebbero agevolare chi esce dal carcere, accompagnandolo nel suo nuovo inserimento sociale.”

Riguardo ai problemi del sovraffollamento il Messaggio afferma: “La punizione detentiva è antica quanto la storia dell'uomo. In molti Paesi le carceri sono assai affollate. Ve ne sono alcune fornite di qualche comodità, ma in altre le condizioni di vita sono assai precarie, per non dire indegne dell'essere umano. I dati che sono sotto gli occhi di tutti ci dicono che questa forma punitiva in genere riesce solo in parte a far fronte al fenomeno della delinquenza. Anzi, in vari casi, i problemi che crea sembrano maggiori di quelli che tenta di risolvere.”

 

L’impotenza delle Istituzioni 

Di fronte alle sfide che la sicurezza dei cittadini pone allo Stato, ci sembra che l’unica risposta finora data sia quella, insufficiente, della repressione. Lo stesso Capo del DAP, dott.  Ionta, affermava sconsolato che la situazione diventerà sempre più difficile perchè “ovviamente, più si aumentano le pene e i reati e più inevitabilmente aumenteranno i detenuti.” 

Noi, dal canto, nostro vogliamo dire al Sottosegretario del Ministero della Giustizia dott. Giacomo Caliendo, che siamo pienamente d’accordo con lui quando nel suo intervento ha chiaramente affermato: “non credo che la struttura penitenziaria in quanto tale, così come è adesso, possa dare al detenuto la possibilità di riabilitarsi e di reinserirsi nella società… né il carcere duro e lungo aiuta la rieducazione del condannato.”

Il Sottosegretario on. Caliendo,  ha manifestato anche tutto il suo rammarico provato quando la proposta del Ministro della Giustizia, On. Angelino Alfano, di “messa alla prova”  e impiego in lavori di pubblica utilità per coloro che, incensurati, fossero stati condannati a una pena al di sotto dei 4 anni, è stata subito rigettata da alcune frange sia della maggioranza sia dell’opposizione, senza nemmeno prenderla in considerazione. Avrebbe infatti potuto essere discussa in Parlamento e migliorata con il contributo di tutti.

 

L’appello 

L’appello che rivolgiamo al Governo è di non perdere la speranza, di non rassegnarsi a vedere le carceri strapiene di persone umane ma, a considerare come le “pene alternative” alla detenzione siano l’unica strada possibile per creare più sicurezza e risolvere il drammatico problema del sovraffollamento delle Carceri così come chiaramente proposto anche dal Capo dello Stato, Giorgio Napolitano: “E’ indispensabile una maggiore e più concreta attenzione per le vittime dei reati. E’ mia convinzione che la pena detentiva debba essere riservata a chi commette crimini …, che ledono gravemente valori e interessi preminenti e intangibili. L’esecuzione della pena deve avvenire nel rispetto della dignità del detenuto e offrendo condizioni per favorire il suo reinserimento sociale” Parole pronunciate dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napoletano, l’8 Maggio del 2007 durante la sua visita al Carcere di Rebibbia a Roma.

 

Don Bruno Oliviero