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Libertà va cercando che'è si cara

Reportage di un incontro in Fiera

 

 

Non ero mai stato a Rimini. Non ero mai stato alla Fiera di Rimini. Non ero mai stato – purtroppo – al Meeting per l’amicizia dei popoli, organizzato ogni anno dal movimento cattolico “Comunione e Liberazione”. (Dopo quest’esperienza credo che valga la pena andarci tutti gli anni: è davvero qualcosa di straordinario)

Ho fatto un blitz alla fiera martedì 26 agosto perché ero interessato alla mostra ivi installata riguardante il mondo carcerario dal titolo “Libertà va cercando ch’è si cara” con il sottotitolo “Vigilando redimere”. Ero interessato soprattutto all’incontro - che si sarebbe svolto nel padiglione più grande: il D7- di presentazione della Mostra.

 

Relatori di grande importanza   

I relatori erano il ministro della Giustizia, l’on. Angelino Alfano, il Capo del Dipartimento di Amministrazione Penitenziaria (D.A.P.), il dott. Franco Ionta e il Magistrato di Sorveglianza di Padova il dott. Giovanni Maria Pavarin. Fungeva da  moderatore il dott. Giorgio Vittadini, Presidente della Fondazione per la Sussidiarietà. L’incontro è stato preceduto da un video internazionale sulla condizione carceraria e dalla testimonianza di due detenuti.

Il Magistrato di sorveglianza di Padova, il dott. Giovanni Maria Pavarin, ha dato inizio all’incontro, citando la frase di S. Agostino riportata in un pannello della mostra che recita così: “Il giudice persegua i peccati, non i peccatori.”

 

Reprimere il reato e correggere il colpevole 

Il dott. Giovanni Maria Pavarin, si è sicuramente dimostrato convinto che tutti i presenti all’incontro ( l’auditorium era pieno fin all’inverosimile) erano d’accordo sull’affermazione di Sant’Agostino. Però ha aggiunto “quando succede qualche crimine efferato vai a dire alle vittime di quel crimine che dobbiamo correggere, trasformare, il colpevole! In quel momento - ha continuato il Magistrato -, “tutti esigono dalle autorità competenti la certezza della pena, l’effettività della pena. Eppure… la certezza della pena non assicura lo stroncamento della recidiva”. Il dott. Giovanni Maria Pavarin a questo punto ha citato l’art. 27 comma 3 della Costituzione che prevede che la pena comminata al colpevole non sia contraria al senso di umanità e serva per la rieducazione del condannato: entra in gioco il cosiddetto “trattamento”! Il detenuto deve essere aiutato a cambiare! “Lo Stato è il padrone del carcere, per questo deve proporre modelli socialmente validi. Lo Stato per primo deve osservare la legalità, ha aggiunto Pavarin, assicurando gli standards minimi dei diritti dei detenuti, così come sono stati proclamati dall’ONU.”

Rifacendosi poi alle testimonianze dei due detenuti ha affermato che “le persone possono cambiare quando si sentono amate, quando incontrano persone positive che danno loro fiducia che li aiutano nel cammino di riabilitazione.”. Ha ricordato infine, quasi a conferma di quanto detto precedentemente, che i dati universalmente riconosciuti, “dimostrano che per coloro che scontano la pena in carcere dal primo giorno fino all’ultimo la recidiva è del 70%, mentre per coloro che vengono aiutati con il trattamento e i benefici della Legge Gozzini, la recidiva scende al 20%.”.

 

La chiave di volta è “L’impegno”

Il dott. Ionta, Capo del D.A.P., ha messo in evidenza che senza l’impegno chiaro, deciso, verificabile del detenuto, non ci può essere vero trattamento e vera riabilitazione per nessuno. In altre parole lo “Stato deve fare la sua parte” ma “niente può sostituire l’impegno serio del detenuto per la sua effettiva riabilitazione”

 

Mai più bambini in carcere!   

L’uditorio molto silenzioso fino a quel momento si è fatto particolarmente attento quando a prendere la parola è stato il Ministro della Giustizia l’on. Angelino Alfano.

Fin dalle prime parole si è capito che il Ministro era pienamente cosciente della grande missione che gli era stata affidata, della responsabilità grande che aveva nei confronti dei cittadini che esigono una giustizia che funzioni, che sia celere, che sia soprattutto giusta!

Tralasciando i dati preparati dal suo staff, il ministro ha fatto ricorso alla sua esperienza personale: “ Ero stato altre volte come parlamentare nelle carceri, ma sapendo di dover partecipare oggi a questo incontro essendo investito della funzione di Ministro della Giustizia, il giorno prima delle vacanze ho deciso di visitare il Carcere di Regina Coeli. Sono entrato nelle celle, ho parlato con i detenuti dando loro del lei, a un certo punto a tutti i detenuti che ho incontrato ho fatto questa domanda: Cosa ha fatto per essere in questo luogo? A questa domanda tutti i detenuti hanno prima abbassato gli occhi, che erano stati precedentemente sempre fissi nei miei, poi li hanno rialzati e si sono di nuovo incrociati con i miei. In quell’abbassarsi e rialzarsi dei loro occhi ho visto una mortificazione e, contemporaneamente, un segno di riscatto!

C’è speranza per i detenuti? – ha continuato il Ministro – C’e una strada alternativa tra il giustizialismo e il ‘farla franca’ ? Dietro ogni detenuto c’è un reato, c’è una vittima. Può il Trattamento significare dimenticare le vittime? Eppure può esistere una giustizia senza misericordia? Ma ancora: cosa sarebbe una misericordia senza giustizia? Uno dei compiti più importanti dello Stato è dare sicurezza ai cittadini, ma deve anche dare una mano a redimere i detenuti: non ci si salva da soli, ci vuole una compagnia! Dobbiamo indurre, vorrei dire quasi “costringere” il detenuto a tirar fuori il meglio di sé! Questo discorso vale solo per quelli che vogliono veramente  redimersi. Per coloro che per scelta si  rifiutano di cambiare non c’è trattamento perché sono essi stessi che si  sottraggono ad esso.

Il Ministro ha quindi elencato alcune delle cose che non funzionano nel “Sistema Carcere”:

-          -“migliaia di persone che entrano in carcere e ci restano per pochi giorni creando un disagio notevole a tutto il sistema.

-          il 70% di detenuti che sono in attesa di giudizio e che quindi sono presunti innocenti.

-          una giustizia lenta per cui un processo si sa quando inizia ma non si sa quando finisce.

-          bambini in carcere insieme con le madri.

 

L’on. Alfano ha quindi esemplificato enunciando alcune delle cose che vorrebbe fare per rendere più umano il carcere:

-          L’uso del braccialetto elettronico per coloro che hanno commesso dei reati lievi e che non sono socialmente pericolosi.

-          Rimandare ai paesi d’origine 4300 detenuti extracomunitari che devono scontare pene inferiori a due anni.

-          Grande agenzia di collocamento nelle carceri per insegnare un lavoro ai detenuti: il lavoro è un grande fattore di riabilitazione.

-          Da quando sono diventato ministro della Giustizia un grido si è levato e permane dentro di me: Mai più bambini in carcere! Le mamme detenute con bambini, saranno accolte in strutture adeguate.

In conclusione l’on. Alfano ha  invitato  tutte le forze politiche a dialogare sulla Riforma della Giustizia più che mai necessaria. “Noi faremo la Riforma della Giustizia” – ha affermato – e questa riforma rappresenterà un grande spartiacque tra coloro che vogliono che la Giustizia funzioni e coloro che vogliono lasciare le cose come sono!

Una decisione sulla riforma presa senza dialogo sarebbe come una dichiarazione di guerra unilaterale, ma un dialogo senza decisione si ridurrebbe a un semplice blaterare. I cittadini da un esecutivo si aspettano fatti non parole!

Ci auguriamo che l'invito del Ministro a dialogare sulla riforma non cada nel vuoto. Davvero solo il dialogo può portare un rinnovamento nel campo della giustizia.

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Don Bruno Oliviero